Antonio Brazzo: dai cocktails al Risto Coach
Antonio Brazzo bartender e ristocoach, ma soprattutto marito, papà di famiglia e persona dal cuore grande. Ho deciso di intervistarlo perché, a mio modesto parere, è una “bella persona” come quelle poche persone che s’incontrano nella vita. Conosciuto durante il primo lockdown (sperando sia l’ultimo!) in un’iniziativa per la ripartenza dei ristoratori, è subito divenuta figura importante del progetto. Ma conosciamolo meglio!
Antonio Brazzo: dai cocktails al coaching food
Antonio Brazzo, barese di 45 anni, nato come imprenditore nella ristorazione, poi barman, oggi food & beverage manager, studioso di leadership, comunicazione e sviluppo personale, ha sempre amato i lavori comunicativi. In 20 anni di esperienza si è interfacciato ed ha studiato come soddisfare clienti standard ed high cost; sul campo ha imparato a gestire con successo tutti i reparti operativi fondamentali della ristorazione, nonché il team e la sezione acquisti e magazzino, applicando i suoi studi e creando un suo sistema di lavoro che crea valore, che oggi è in grado di replicare sia dal punto di vista umano che del revenue attraverso lo studio di menu engineering, upsell e crossell dedicati soprattutto alla ristorazione.
Nel 2018, Antonio Brazzo fonda in collaborazione la D-FACTOR, creando un ruolo indispensabile nel settore odierno, il RISTO COACH il cui compito è di sviluppare le capacità individuali dell’imprenditore e del team, l’attenzione ai costi/ricavi, alla somministrazione, all’etica e all’affiliazione della clientela. Un propulsore aziendale che racchiude lo sviluppo del profitto, della formazione personale e del team e della soddisfazione nel rapporto vita-lavoro
La regola che trasmette Antonio Brazzo è “più valore crei, più valore hai”. Tutti hanno delle straordinarie opportunità di crescita.
Antonio Brazzo, da dove nasce la passione per il tuo lavoro?
Sicuramente dalla passione per le persone, ho infatti un lungo trascorso nel mondo del turismo nel settore animazione; a fine anni ’90 con 3 persone, rilevammo un locale cult di Bari. Tanto entusiasmo ma poca esperienza mi costrinsero a vivere ininterrottamente nel mio lavoro catapultato in pieno nel cambiamento monetario ed economico-sociale che tutti conosciamo. Lì ho avuto il mio primo approccio con la realtà ristorativa e soprattutto con l’american bar, che a quei tempi non era così ricco di pretese. Dopo 5 anni ho mollato, ma con un grosso bagaglio di esperienze, prima tra tutte la consapevolezza che per fare questo lavoro bisogna studiare a 360°.
Hai studiato, quindi, per arrivare fin qui?
Certo! Il nostro è un lavoro di grossa responsabilità ed etica. Sono fiero di essere autodidatta ed ho frequentato diversi masterclass e seminari sia tecnici che umanistici, materie diciamo “collaterali” come comunicazione, sviluppo personale, team building, pnl, e così via, che hanno fatto di me quello che chiamavano un barman atipico.
Ho sempre pensato che il nostro è un lavoro basato sulle relazioni e l’empatia piuttosto che sull’ego ed il narcisismo, così nella seconda decade, ormai capo barman, sono entrato a capofitto nel mio nuovo obiettivo: creare una figura per aiutare i ristoratori a non cadere nel mio stesso insonne tranello. Così ho frequentato un corso da food&beverage manager ed ho iniziato in maniera consapevole a personalizzare e codificare il mio metodo lavorativo basato su numeri e relazioni umane.
Da qui, ho creato la figura del RISTO-COACH, una sorta di specchio dell’imprenditore con la pretesa di migliorare la qualità della vita, del rapporto con i collaboratori e di conseguenza del profitto. Sono uscito dal mondo della notte, mia croce e delizia, a favore della luce del sole che non vedevo da ormai troppi anni.
Ami sperimentare o preferisci la tradizione culinaria?
Ovviamente in tutti questi anni ho conosciuto e studiato tutti i reparti operativi, tra cui la cucina che mi ha sempre appassionato, amo sempre sperimentare tuttavia resto affezionato alla cucina tradizionale fosse non altro per l’anima che porta con sé.
Hai mai creato un cocktail tutto tuo?
Tantissimi, ma sempre basati su un principio, la semplicità! Ho spesso spiegato ai miei allievi sul banco che il palato del cliente è semplice e quasi sempre si basa su un principio fondamentale e quasi infantile, ossia MI PIACE e NON MI PIACE. I migliori cocktails della storia hanno un massimo di 3-5 ingredienti, la differenza la fa la mano che li assembla.
Può sembrare una stupidaggine, ma in realtà sono pochissimi i clienti che hanno quella capacità di comprendere le imperfezioni tecniche, va da sé che i migliori drink da creare sono semplici, vendibili e facilmente replicabili con la base imprescindibile di un buon margine di guadagno, perché con lo “stile” non si pagano le bollette!
Un mio drink che ho molto venduto è il “TURIN MULE”, semplice, fresco e a bassa gradazione con Martini bianco, succo di limone e ginger beer…provatelo!
Ti ispiri a qualcuno quando crei i tuoi cocktails?
Come stile di barman mi sono sempre ispirato a Mauro Lotti, un must dell’accoglienza italiana, un giovanotto di quasi 90 anni che ho avuto il piacere di conoscere e di servire anche come cliente; tutti i barman dovrebbero fermarsi un attimino col maestro per comprendere la grandezza di una curiosa passione.
Per i miei drink, invece, mi sono sempre ispirato all’unica fonte che a mio parere va considerata, il cliente, facendo sempre attenzione “all’espressione del primo sorso”, per comprendere se avessi centrato o meno le sue aspettative; la faccia del cliente al primo sorso non mente mai!
Quali traguardi ti sei prefissato?
Ho sempre avuto obiettivi a lungo periodo, diciamo 10 anni, l’ultimo però me lo sono prefissato a 5, ho affisso come mia abitudine un post-it con su scritto “voglio diventare un coach autorevole per attirare a me persone eccezionali ed uniche e diventare la migliore versione di me stesso”… e questo farò almeno fino ai 50 anni.
Antonio Brazzo, quindi, hai un tuo cocktail preferito?
Questa è facile, in particolare sono due, e senza ombra di dubbio il mio più grande amore è il Martini Cocktail, fra tutti il dirty martini, e poi adoro il Bloody Mary, ovviamente entrambe se sono ben fatti. Li adoro soprattutto perché non hanno una ricetta standard, ma contengono quel “Q.B.” che fa fare la differenza al barman; ho sempre sostenuto che sono drink da discussione, nel senso che prima di prepararli devi necessariamente fare quattro chiacchere col cliente per comprendere come bilanciare ingredienti e tecnica di preparazione in base ai suoi gusti.
I principi delle tue preparazioni
Amore per i commensali. Cucinare per qualcuno è un grande atto d’amore
A questo punto, hai un tuo aneddoto personale?
Ne ho diversi, da “LA FORMAZIONE COSTA MENO DELL’IGNORANZA”, a “PIÙ VALORE CREI, PIÙ VALORE HAI”, ma la mia regola preferita è il P.U.Ò. regalatami da Sabino Gallo ex area manager Martini, che recita in sostanza il segreto del successo lavorativo : Pazienza, Umiltà, Onestà.
C’è qualcosa che odi nel tuo lavoro?
Del lavoro di barman che amavo ed amo, odiavo il fatto di essere come il ginecologo “lavoravo dove gli altri si divertivano”, il che non mi pesava se non fosse per il fatto che avendo uno stile di vita al contrario (vivevo di notte e dormivo di giorno), non riuscivo ad essere presente con la mia famiglia, per cui i miei figli crescevano senza avermi come punto riferimento.
Del lavoro di ristocoach, invece, odio trovare quei clienti che ti chiedono aiuto e poi agiscono di testa loro, azzerando i risultati, ma non li odio, li perdono e abbandono.
Un’esperienza legata al tuo lavoro
Sull’argomento potrei scriverci un libro, tuttavia un’esperienza che bisogna tramandare è che la ristorazione ha tre grandi demoni che bisogna riconoscere ed allontanare: alcool, droga e gioco d’azzardo, che hanno distrutto la vita e la carriera di diversi talenti. Lavorando in giorni e momenti particolari e con orari stressanti i tuoi momenti di svago sono racchiusi dopo lo smontante e di notte il mondo è effimero; si rischia di cadere in una routine tossico depressiva che intacca interamente la vita personale e professionale… Massima attenzione!
In cosa pensi di essere unico nel tuo lavoro?
Sicuramente per il mio lavoro! Io non faccio il consulente, ma guido i miei clienti verso una crescita consapevole delle loro potenzialità. Non dispenso risposte, ma creo domande aiutando a generare risposte e contemporaneamente porto il focus al primo obiettivo dell’imprenditore: il profitto raggiunto con etica e gioco di squadra.
In questo periodo tutti sono focalizzati su un potente sviluppo tecnologico, dimenticandosi il capitale umano, la vera fonte di sviluppo di capitale. Le aziende sono fatte di persone, la crescita dell’azienda non dipende dal mercato, ma delle persone che non hanno una tale sensibilità che gli permette di cogliere le opportunità che lo stesso offre. Assistiamo così ad una sorta di “mummificazione” di imprenditori e collaboratori che restano fermi in un mercato che si evolve.