Hospitality, come non annegare nel post pandemia
Antonio Brazzo bartender e ristocoach, ma soprattutto marito, papà di famiglia e persona dal cuore grande. L’abbiamo conosciuto nella sua precedente intervista ed oggi vuole affrontare con noi, un argomento che negli ultimi due anni ci sta letteralmente interessando “troppo” direttamente, quasi come un treno senza stazioni di fermata.
Hospitality, come non annegare nel post pandemia
É palese che generalmente col tempo tutto cambi, nonostante ciò, molti anzi moltissimi rimangono vittime dei cambiamenti per il semplice fatto che cambiare implica spesso sacrificio e fatica, e non tutti sono disposti a mettersi in discussione ed applicarsi in tal senso cullati dall’antico adagio “qui non cambierà mai niente”. La verità, a parer mio, è che i cambiamenti spesso avvengono in maniera lenta ma costante e, come un ghiacciaio che scivola a valle, lasciano un segno indelebile che solo dopo decenni diventa evidente. Quando però gli eventi investono drasticamente il tessuto economico e sociale, come negli ultimi due anni, solo i ciechi non riescono ad avvertire che non si tratta di un ghiacciaio ma di una diga che sta cedendo, quindi o costruisci la tua arca o sarai destinato ad annegare.
A parte la metafora biblica iniziale, credo sia necessario focalizzarci sul fatto che stiamo vivendo un decisivo cambiamento in cui possiamo decidere di comprendere ed adattarci o soccombere. Vivere il momento storico come pericolo oppure opportunità!
L’hospitality: un settore trainante della nostra economia
L’hospitality è sempre stato un settore trainante della nostra economia, è nel nostro DNA e questa è una buona ma anche cattiva notizia in quanto, ritenendo storicamente naturale sentirci padri fondatori dell’HO.RE.CA. (hotellerie, restaurant, cafè), figli di un meraviglioso paese unico al mondo, estroversi portatori del bien vivre, abbiamo smesso da tempo di chiederci come migliorare e siamo rimasti legati ai nostri cari sistemi atavici che oggi ci ripagano con risultati non all’altezza delle nostre aspettative.
La pandemia ha messo a nudo le carenze del settore ponendo senza scrupoli molte aziende di fronte alle proprie responsabilità; ciò nonostante ancora oggi si cerca il colpevole al di fuori delle proprie mura rendendo quel principio di agonia, l’anticamera di morte certa.
Cosa spinge gli imprenditori a credersi meno esperti?
Ma cosa spinge gli imprenditori a credersi esperti semplicemente basandosi sul fatto di aver messo i capitali? Non so, ma l’ho visto così tante volte da comprendere che è spesso un comune denominatore che porta ad essere schiavi della propria azienda ignorando che l’investimento non è servito ad acquistare un posto di lavoro, ma soprattutto a creare profitto e benessere per se e per gli altri.
Lungi da me essere contro gli imprenditori che svolgono un lavoro difficile e sacrificante che spesso non viene compreso dalla massa e dai collaboratori. Ma la realtà ormai spiega che son tanti i punti da rivedere, a mio parere, per far si che si abbiano a disposizione i pezzi per costruire la “zattera di salvataggio”; per citarne alcuni: Il “nero”, i contratti di lavoro scadenti, la propensione ad ignorare i numeri della propria azienda, l’indisposizione alle nuove tecnologie, il pensiero che aprire un’attività significhi creare il regno dove governare attraverso la dipendenza da telecamere di sorveglianza, ma soprattutto… l’ego!
Non intendo accusare una categoria che quotidianamente combatte con coraggio per emergere, svilupparsi e sopravvivere; né voglio cadere nel luogo comune dell’imprenditore ladrone ed evasore perché chi conosce il settore sa che con i margini di contribuzione attuali non c’è da diventare ricchi!
E quindi, quale dovrebbe essere il tuo consiglio?
Quello che quotidianamente cerco di spiegare è che ci sono molte aziende che si stanno piegando su se stesse, sopravvivendo tra le proprie polemiche e giustificazioni, cercando il problema al di fuori delle proprie mura, mentre altre fioriscono e prosperano nello stesso settore e momento storico! Come mai?
Permettetemi di citare due frasi di Seneca :
- “La fortuna non esiste, è il talento che incontra l’opportunità”
- “L’ignorante(inteso come colui che ignora), non sa di non sapere”
Nel libero mercato la fortuna dura un lasso di tempo determinato, ma è destinata a lasciare spazio alle capacità imprenditoriali, quindi le aziende che fioriscono lo fanno grazie ad un incastro di capacità e talenti.
Una hospitality obsoleta
La maggior parte degli imprenditori hospitality sono figli di insegnamenti che oggi non funzionano più, ma loro non lo sanno e si ostinano a continuare con metodi obsoleti; è come se volessero vincere oggi un gran premio con una Ferrari anni 80! Era una gran bella e potente automobile … negli anni 80!
Molti potrebbero asserire che nonostante i molti investimenti tecnologici, rinnovamenti degli arredi, e delle strutture le cose non sono cambiate. Certo! Perché la nostra programmazione imprenditoriale non ci ha permesso di carpire il cambiamento più essenziale … il capitale umano!
L’incapacità di vedere che il vero valore aggiunto sono le persone, ha portato gli imprenditori alla deriva tanto che oggi il maggior problema è che l’offerta di lavoro ha superato incredibilmente la domanda! Di conseguenza le aziende senza uomini sono semplicemente immobili incapaci di erogare servizi.
E il post pandemia? Cosa c’entra in tutto ciò?
Il post pandemia ha lasciato questo “regalino” al settore hospitality: molti impiegati o meglio imprigionati per sopravvivenza nel settore , hanno avuto il tempo ed il modo di impiegarsi al di fuori, ottenendo di fatto un vantaggio … una vita normale!
Non si devono cercare le colpe nel famoso reddito di cittadinanza, o nella scarsa volontà, piuttosto nel malcostume che chi è impegnato nel settore debba di fatto partire da una media di 70 ore settimanali con un contratto che ne dichiara magari 40… e dico magari perché non di rado il contratto è part-time o a chiamata, perdendo di fatto la propria sopravvivenza e visione del futuro, nonché la consapevolezza di essere parte di un progetto sostenibile.
È quasi un’offesa sentirsi chiedere durante un colloquio orari e paga, e adesso che ai colloqui non si presenta nessuno? Ogni imprenditore dovrebbe comprendere che non ci si rassegna più all’adagio che “ se ti sta bene è così”, perché i grossi brand hanno applicato sistemi diversi che non solo funzionano meglio, ma si stanno espandendo a macchia d’olio! Non hanno grossi problemi nel reclutare personale, lo rispettano e chiedono loro di rispettare le regole, ed incredibilmente … funziona!
Una prosperità che non viene sfruttata
Il capitale umano oggi è la base del settore e l’imprenditore che non comprende questo è destinato a restare solo o con un investimento affidato ad addetti non professionisti; in entrambi i casi non c’è prosperità.
Il miglior investimento oggi è nel capitale umano, nella capacità degli imprenditori intercettare e far crescere collaboratori felici e profittevoli comprendendo che il proprio progetto è affidato alla capacità di questi a perseguire lo scopo comune: il profitto etico.
Probabilmente se sei un imprenditore starai storcendo il naso e a dire il vero non hai tutti i torti, non tutti i collaboratori sono meritevoli, ma avere un atteggiamento ostico nei confronti di tutti non aiuterà la tua azienda a fiorire, per cui ti invito ad avere fiducia e vedere le persone come investimenti e non come un costo.
“SE TI FOCALIZZI SUI COSTI PERDI DI VISTA I RICAVI”
Faccio parte dell’hospitality da più di vent’anni e comprendo perfettamente i diversi punti di vista; oggi il mio compito ambizioso nelle aziende è quello di sviluppare i talenti di imprenditore e collaboratore per aumentare, attraverso la crescita personale, professionale ed interiore, il profitto ed il benessere.
A prescindere da quelle che possano essere le esperienze passate sia da imprenditore che da collaboratore il mio invito è alla fiducia reciproca; tal proposito ti invito a rispondere sinceramente ed intimamente a due quesiti:
Cosa dovrebbe spingere un collaboratore ad esprimere il proprio talento a favore di un’azienda che non riconosce i suoi bisogni di persona e a sviluppare profitto se non si sente parte di in progetto come essere umano?
Cosa dovrebbe spingere un imprenditore ad essere fiducioso nei confronti di un collaboratore se quest’ultimo non si mette in gioco dimostrando una crescita personale e professionale a favore di un profitto comune?
La mia speranza è che la nostra magnifica propensione all’ospitalità non si perda nella lotta sterile tra classi lasciando terreno fertile a grossi brand che inevitabilmente occuperebbero i posti vacanti. Io sono fiducioso!